Se dovessimo dare una cronologia, diremo subito che il periodo di tale dinastia va dal 14 al 68 d.C., anni in cui avvengono le morti, rispettivamente, di Augusto e di Nerone. Ma, al contempo, se dovessimo leggerlo sotto forma politica, dovremmo sottolineare come l’ambivalenza tra il (falso) rispetto della Repubblica, la cosiddetta restitutio reipublicae dell’operato di Augusto e l’autocrazia imperiale del suo essere Princeps, verranno ben esplicitate dalle spinte ambivalenti che caratterizzano i quattro imperatori della dinastia giulio-claudia, prima della nuova catastrofe dell’annus horribilis del 69. D’altra parte non possiamo dimenticare che, prima d’addentrarci in una qualsiasi valutazione di carattere storiografico, dobbiamo tener presente della tendenziosità che sui successori augustei operarono storiografi filo-senatoriali quali Svetonio e Tacito che, con capacità diverse, ci lasciarono di quest’età una visione torbida e cupa. Nostro compito, pertanto, sarà quello di avvicinarci, per quanto possibile, alla verità storica sull’operato e più precisamente sulla politica culturale di Tiberio, Caligola, Claudio e Nerone.
La successione
La figura inaugurata da Augusto, quella del princeps, non aveva avuto precedenti nella storia repubblicana e pertanto risultava assolutamente difficile, per lui, trovare un successore in grado di rivestirne il ruolo e l’autorità che tutto il popolo Romano, dalla nobilitas alla plebs, gli aveva attribuito, grazie anche alla pacificazione ottenuta dopo le sanguinose guerre civili. Morto in tarda età, venutigli meno dapprima il genero Agrippa, poi i nipoti Gaio e Lucio, da lui nati e dalla figlia Giulia, designò Tiberio, figlio della sua seconda moglie Livia con Tiberio Claudio Nerone. Ciò determinò la denominazione di dinastia Giulia (gens Iulia a cui apparteneva Augusto) e gens Claudia (gens d’origine di Tiberio).
Tiberio (14-37)
Su Tiberio pesa il giudizio di Tacito sugli Annales, eppure egli non fu un “pessimo” imperatore, così come la storiografia successiva volle indicarci. Divenne Caesar in tarda età, a 56 anni, dopo aver mostrato grandissime capacità militari sia in Pannonia che in Germania, insieme al figlio e al fratello, rispettivamente Drudo minore e maggiore, e al nipote Germanico. Quest’ultimo, dopo aver ottenuto vittorie brillanti morì e secondo le illazioni popolari fu lo stesso Tiberio ad averlo ucciso per gelosia in Oriente, tramite il nobile Pisone, (la cosa non fu mai accertata). Quando divenne imperatore seppe proseguire, tuttavia con meno auctoritas di quella di Augusto, soprattutto per una certa ritrosia personale che lo rendeva schivo agli occhi della plebs, la politica di suo padre adottivo, riuscendo a mantenere buoni rapporti con il senato. Tutto ciò durò finché, per motivi oscuri, decise di abbandonare Roma e di ritirarsi in una splendida villa su Capri. Lasciò quindi nella capitale il suo prefetto del pretorio, Seiano, un ricco d’origine equestre, che, venuto in attrito con la nobilitas, cominciò a dare vita ad una serie di processi di lesa maestà, non nascondendo le sue mire per essere investito dallo stesso Tiberio come suo successore. Ma la volontà di non inimicarsi le vecchie famiglie aristocratiche fece accettare all’imperatore l’accusa del tradimento del suo prefetto e lo condannò a morte. Ciò non provocò alcun miglioramento: vecchio, sospettoso, lasciò in eredità un’immagine di sé assolutamente sgradevole, morendo fuori dalla città eterna nel 37 d.C.
Caligola (37-41)
Sembra che sia stato Macrobio, dopo aver sostituto Seiano nel ruolo di prefetto del pretorio, ad imporre Caligola al senato che, in quanto figlio di Germanico, era ben visto sia dagli ambienti militari, dai senatori e soprattutto dalla plebe che aveva, verso suo padre, un vero e proprio culto. Furono infatti i soldati a soprannominarlo Caligola dalla “caliga” tipica calzatura usata dalle truppe che seguivano Germanico in Germania. Alla morte del padre tornò a Roma, e ad appena 25 anni fu nominato imperatore. Pochissime le fonti sul suo breve operato politico (non abbiamo la testimonianza di Tacito, ma solo di Svetonio), ma sembra che tutte si riferiscano alla sua “pazzia” (si dice che abbia nominato senatore il suo cavallo Incitatus): egli infatti virò verso una politica assolutistica che prevedeva l’orientalizzazione e quindi la sua “divinizzazione” e “sottomissione” di ogni altra componente statale. Ciò gli procurò molti nemici, (ad eccezione della plebe, che lo amava), tanto che solo dopo quattro anni fu ucciso.
Claudio (41-54)
Per evitare disordini sociali i pretoriani acclamarono subito come suo successore suo zio, Claudio, saltando qualsiasi deliberazione del Senato (precedente questo che testimonia l’importanza che il ceto militare aveva assunto nell’Impero). Anche per lui le notizie e le testimonianze tramandateci furono impietose: ciò che si tendeva a mettere in rilievo erano le deformazioni fisiche (sembra le tremasse la testa e che fosse claudicante) e foniche (balbettava). Tuttavia la storiografia più recente lo assolve dalla gran parte delle critiche: era un intellettuale, dedito a studi storiografici, e grande lacuna ha rappresentato la perdita degli studi sugli Etruschi da lui svolti. Ma ancora più importanti furono i suoi successi politici: riassestò il bilancio disastrato dalle spese folli di Caligola e, in politica estera, sistemò le questioni aperte dal suo predecessore in Oriente e portò avanti la conquista della Britannia che, sotto di lui, divenne provincia. Grande importanza ebbe la riorganizzazione dello Stato, integrando ad esso molti notabili delle province. Inoltre lasciò le incombenze amministrative nelle mani di liberti che, in tal modo, assumevano maggiori responsabilità dei senatori stessi (fu infatti polemicamente ricordato come l’“imperatore dei liberti”). Tuttavia il suo regno fu pieno d’intrighi, causati soprattutto dalle donne: aveva sposato in terze nozze Messalina, che gli aveva dato il figlio Britannico. Oltremodo dissoluta, fu accusata di tramare contro il marito e messa a morte. Sposò allora Agrippina che riuscì a fargli adottare un figlio avuto da un precedente matrimonio. Quindi nel ’54 lo avvelenò per assicurare al figlio la successione al trono.
Nerone (54-68)
Il periodo neroniano risulta essere il più favorevole per la formazione di grandi personalità letterarie, caratterizzanti proprio questa dinastia. Ciò fu probabilmente promosso dallo stesso imperatore, cultore della cultura greca, egli stesso poeta e, con scandalo di tutti, istrione. Queste qualità, d’altra parte, ci offrono anche la visione di un imperatore protagonista, che, come tale, non poteva certo essere accondiscendente verso le istituzioni ma, come il suo predecessore, assolutista. Il suo impero può essere diviso in due parti: il primo, definito quinquennio felice in cui divise le responsabilità di governo con il filosofo Seneca e il prefetto del pretorio Afranio Burro; il secondo in cui prevalse il suo aspetto dispotico che lo condusse alla fine. Infatti egli, dominato dalla madre Agrippina, salì al potere a soli diciassette anni. La stessa genitrice convinse Claudio a richiamare dal confine Seneca, mandato lì per gli intrighi della prima moglie Messalina; inoltre gli diede in moglie Ottavia, figlia di Claudio. Dopo aver ucciso quest’ultimo e portato il figlio al trono, nonostante la presenza del filosofo e del militare, lo convinse a uccidere il fratellastro Britannio, ma fu allo stesso modo uccisa per essersi opposta al divorzio con Ottavia per sposare in seconde nozze Poppea. Anno importante fu il ’64, in cui Roma venne distrutta da un rovinoso incendio. Sull’operato gli storici si dividono: il modo attraverso cui l’imperatore si adoperò in questo frangente è stato visto da una parte in modo positivo per l’abnegazione che egli dimostrò verso la plebe e la capacità di ricostruire Roma, dall’altro in modo negativo per come egli accontentò la plebe additando come capro espiatorio il cristianesimo e approfittò di tale frangente per costruirsi sul Palatino una splendida e immensa dimora, la Domus aurea. Certo è che per questo evento Nerone si ritrovò con le casse imperiali vuote e in estrema difficoltà nel dover seguitare una politica accondiscendente verso i desideri della plebe romana. Ciò comportò un forte aumento nell’imposizione fiscale delle provincie che causarono la ribellione delle popolazioni sotto la direzione di Roma. Inoltre la stessa nobilitas, costretta fino allora ad una cieca obbedienza, tentò di ribellarsi attraverso quella che storicamente viene definita la “congiura dei Pisoni”. Vennero messi a morte molti senatori ed intellettuali come lo stesso Seneca, Petronio e Lucano. Infine si sollevarono le milizie di stanza in Spagna, in Galilea e in Gallia con i loro generali; Nerone, resosi conto di esser rimasto solo, infine decise di togliersi la vita nel ’68, chiudendo così un’epoca ed una età.
La cultura
Nessuno degli imperatori appartenenti a questa dinastia non si può definire un non intellettuale: Tiberio, Caligola, Claudio, ma il vero e proprio rifiorire culturale avvenne soprattutto con Nerone, sia per la promozione culturale che egli stesso incoraggiò, sia per il fatto stesso che l’imperatore in persona non si negò il piacere di essere (e forse realmente fu) un ottimo poeta, anche se di lui non ci è pervenuto nulla.
Per chiarezza riassumeremo qui i principali “generi” attraverso cui la cultura “letteraria” si esercitò:
- Già in età augustea l’epica mitico-storica, in un periodo non più fondativo/giustificativo del potere, non poteva trovar luogo: a mostrarlo fu l’opera di Manilio Astronomica, dove l’epica si sposa alla filosofia stoica di una realtà assolutamente trascendente e astorica. Lucano, invece con il suo Bellum civile cancella qualsiasi elemento mitico, ma non ultimo dei motivi, non lo concluse perché costretto a uccidersi da Nerone;
- La storiografia del periodo o si struttura in semplici sintesi come quella di Valleio Patercolo oppure non ci è pervenuta soprattutto perché le opere furono vergate da senatori e quindi antimperialisti: Cremuzio Cordo ce ne offre l’esempio: la sua opera fu messa al macero e lui costretto a uccidersi;
- La satira trovò nuova forma e struttura sul modello di quella menippea che era caratterizzata dal prosimetro: fu utilizzata sotto il periodo neroniano da Seneca con l’Apokolokýntosis di Seneca ed il Satyricon di Petronio;
- L’oratoria perde il profondo significato che aveva alla fine della Repubblica; la non libertà politica ne fa un puro esercizio in cui si vuole mostrare il proprio essere peritus dicendi, soprattutto pubblicamente attraverso le declamationes;
- Se non può svilupparsi una vera e propria “critica” al potere in forma diretta, come accadrà sotto Domiziano e, più in là, Adriano, la metafora sugli umili trova spazio nell’unico genere che la letteratura latina non aveva ancora sviluppato da quella greca, la fiaba: fu Fedro a farlo.