MEDIOEVO

Convenzionalmente il Medioevo viene collocato tra il 476 d.C. e la fine del 1300; risulta estremamente chiaro che tale cronologia è puramente convenzionale; infatti la dissoluzione dell’Impero Romano è un processo lento, che avviene già nell’età di Adriano. D’altra parte, sia politicamente che socialmente l’elemento barbarico aveva già preso posto negli alti gradi dell’esercito e della burocrazia, pertanto quando Romolo Augustolo venne deposto e il re Odoacre consegnò l’insegna imperiale a Costantinopoli alla maggior parte della popolazione sembrò non fosse accaduto nulla.

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Odoacre

Il medioevo, il cui termine indica un evo che sta in mezzo tra l’impero antico e l’impero moderno, è quindi un’età che, definendola così, si presuppone come non esistente. Non è realmente così: in primo luogo è bene dire che esso costituisce la fucina per l’Europa moderna (è stato il movimento romantico ad individuare questo suo compito); inoltre è in questo periodo che si forma l’ideologia cristiana e la divisione linguistica.

Per meglio definirlo è necessario dire che esso si divide in Alto Medioevo (tra la fine dell’Impero Romano e l’anno 1000), ed il Basso Medioevo (dal 1000 fino alla crisi dell’età comunale).

Gli elementi che lo hanno caratterizzato sono:

  • Le migrazioni dei popoli del Nord;
  • Il Cristianesimo come “visione” unica della realtà;
  • Il monachesimo benedettino;
  • La società feudale;
  • Il Sacro Romano Impero.

Le migrazioni dei popoli del Nord

Meglio conosciute con il termine improprio d’invasioni “barbariche” esse sono stati dei veri e propri spostamenti in cui popoli “nomadi”, originari dei territori che dalle steppe siberiane arrivavano sino al confine del Reno, cominciarono un processo migratorio che li fece irrompere fin dentro il limes romano; essi frantumarono l’Impero e attraverso un lunghissimo processo diedero forma, in seguito, ai Regni Romano-barbarici. Infatti il loro arrivo non procurò solo “distruzione”, ma ebbe anche un compito di “costruzione” che, sebbene lungo, arriverà alla soglia della modernità.

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I regni romano-barbarici

Il loro primo impatto si ebbe in campo linguistico; la lingua di Roma, il latino, si era estesa al seguito dell’esercito, giungendo quasi fino all’estremità del mondo allora conosciuto. E’ evidente che più lontano era l’arrivo dell’elemento latino più forte era la resistenza della lingua originaria (substrato); inoltre dal loro incontro sempre veniva fuori un codice linguistico che, più o meno, conteneva gli elementi dell’uno e dell’altro. Alla disgregazione dell’Impero, il processo avrà una dinamica opposta: più s’allentava il controllo dell’Impero più riemergeva il substrato linguistico contenente i nuovi elementi apportati dal latino (superstrato); ciò darà appunto vita a quelle lingue che gli studiosi definiscono “romanze”.

Il cristianesimo come visione unica della realtà

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Costantino: resti di una statua gigante presso i Musei Capitolini

Se Costantino, imperatore Romano tra il 321 ed il 337, accettò che la religione cristiana facesse parte dell’Impero, fu Teodosio che nel 392 la rese “religione di Stato”.

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Teodosio

Ciò creò una serie di conseguenze tra le quali, sul piano culturale, s’impose quella concernente il rapporto tra tutta la tradizione culturale romana e la nuova concezione della realtà che il Cristianesimo prospettava. Infatti tutta la realtà doveva ora essere ridisegnata secondo un modello “trascendente”, ovvero sia, tutto il mondo doveva essere studiato ed osservato come emanazione dall’alto della volontà divina. Cosa fare, dunque della cultura che non aveva conosciuto Dio?

Le risposte potevano essere ispirate sia al rifiuto che all’accettazione:
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San Gerolamo

GEROLAMO: L’INFERNO PER CHI LEGGE
I LIBRI DEI GENTILI (382)
(Epistula, XXII)

Cum subito raptus in spiritu, ad tribunal iudicis pertrahor; ubi tantum luminis, et tantum erat ex circumstantium claritate fulgoris, ut proiectus in terram, sursum aspicere non auderem. Interrogatus de conditione, Christianum me esse respondi. Et ille qui praesidebat: «Mentiris», ait, «Ciceronianus es, non Christianus: ubi enim thesaurus tuus, ibi et cor tuum». Illico obmutui, et inter verbera (nam caedi me iusserat) conscientiae magis igne torquebar, illum mecum versiculum reputans: «In inferno autem quis confitebitur tibi»? Clamare tamen coepi, et eiulans dicere: «Miserere mei, Domine, miserere mei». Haec vox inter flagella resonabat. Tandem ad praesidentis genua provoluti qui astabant, precabantur, ut veniam tribueret adolescentiae, et errori locum poenitentiae commodaret, exacturus deinde cruciatum, si Gentilium litterarum libros aliquando legissem.

Quand’ecco rapito dallo spirito, son tratto al tribunale del giudice e lì era tanta la luce e tanto il fulgore di quel luminoso ambiente che io, piegato a terra, non osavo alzare gli occhi, interrogato sulla mia condizione, risposi che io ero cristiano. Ma il presidente ribatté: «Ciceroniano sei, non cristiano. Dov’è il tuo tesoro, lì è il tuo cuore». Ammutolii e tra le percosse (poiché si era ordinato di battermi) più ancora mi sentivo tormentato dalla fiamme del rimorso e fra me ripetevo quel versetto: «Chi ti glorificherà nell’inferno?». Cominciai pure ad invocare e tra i lamenti a dire: «Misericordia di me, o Signore, misericordia di me». Questa mia voce risuonava tra le percosse. Infine gli astanti, piegatesi alle ginocchia del presidente, pregavano che perdonasse alla mia giovinezza e desse al peccatore facoltà di far penitenza, con la ferma decisione di mettermi a morte, se fossi ricaduto nella lettura dei libri dei gentili.
(trad. di Annarone)

Gerolamo, autore tra l’altro della Vulgata, cioè la traduzione in un latino lineare e semplice della Bibbia, si pone in una situazione di netto rifiuto. Se i Romani non conoscono Dio, come possono ispirare o insegnare chi invece Dio lo conosce e non può o deve tradirlo? Non c’è possibilità d’incontro: gli dei romani, Giove, Venere, Marte o Giunone, sono emanazione diabolica, in quanto portatori di sensazioni corporee e non rinneganti l’idea del piacere. Come può il Dio trascendente, incorporeo, portatore del tutto e incluso in quanto parte di esso, venire a patti con un mondo immanente? Solo l’inferno può aspettare chi si ciba di cultura pagana, soprattutto per chi la conosce e sa quanto sia perfetta e bella, ma proprio per questa sua esteriorità, ingannatrice.

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Sant’Agostino

AGOSTINO: LA FILOSOFIA DI CICERONE COME STIMOLO PER AMARE DIO
(397-401)

Inter hos ego inbecilla tunc aetate discebam libros eloquentiae, in qua eminere cupiebam, fine damnabili et ventoso per gaudia vanitatis humanae; et usitato iam discendi ordine perveneram in librum cuiusdam Ciceronis, cuius linguam fere omnes mirantur, pectus non ita. Sed liber ille ipsius exhortationem continet ad philosophiam et vocatur “Hortensius”. Ille vero liber mutavit affectum meum, et ad te ipsum, domine, mutavit preces meas, et vota ac desideria mea fecit alia. Viluit mihi repente omnis vana spes, et inmortalitatem sapientiae concupiscebam aestu cordis incredibili, et surgere coeperam, ut ad te redirem. Non enim ad acuendam linguam, quod videbar emere maternis mercedibus, cum agerem annum aetatis undevicensimum, iam defuncto patre ante biennium; non ergo ad acuendam linguam referebam illum librum, neque mihi locutionem, sed quod loquebatur persuaserat.

Tra questi (oratori) io, in età all’epoca ancora immatura, studiavo i libri di eloquenza, nella quale desideravo distinguermi con un fine biasimevole e vano, attraverso le gioie della vanità umana, e secondo l’usuale programma di studi, ero già arrivato al libro di un certo Cicerone, la cui lingua quasi tutti ammiravano, non altrettanto il pensiero. Ma il libro di costui contiene un’esortazione alla filosofia, ed è intitolato “Ortensio”. Quel famoso libro mutò la mia mentalità e cambiò le mie preghiere (rivolte) a te, Signore, e rese diverse le mie aspettative e i miei desideri. Di colpo svilì in me ogni vana speranza e mi fece desiderare con un incredibile ardore di cuore l’immortalità della sapienza e incominciai a rialzarmi per ritornare a te. Ma non per affinare la lingua, cosa che sembrava che pagassi con il mensile materno – poiché avevo diciotto anni e (mio) padre era morto già da due – perciò non rivolgevo (la lettura di) quel libro per perfezionare la lingua, né mi aveva persuaso del suo stile ma di ciò di cui parlava.

E’ evidente l’atteggiamento diverso del filosofo Agostino: se Dio, in quanto ente creatore, è sempre esistito, alcuni scrittori “pagani” pur non conoscendolo o rispettandolo, nel momento in cui scrivevano le loro opere, ricevevano la Sua invisibile presenza. Ciò voleva dire che tali opere non solo riportavano ciò che il loro autore intendeva, ma anche ciò che Dio voleva che loro dicessero. Infatti, per Agostino, Dio è stato, è e sarà; in Lui il tempo non esiste, ed essendo Dio proprietario del Tempo esso è vissuto come un continuo presente. Allora le “verità” nascoste degli scrittori Romani, possono ricercarsi in quanto “eternamente valide”. Per scoprirle occorre attuare il metodo allegorico, cioè cercare dietro il velo del “dettato” la verità. Infatti “allegoria” letteralmente vuol dire “dire altro”, quindi, ad esempio dire “rosa” per intendere “bellezza”.

Ora “interpretazione allegorica” vuol dire, come detto, cercare di capire ciò che la lingua come segno indica per interpretare la volontà di Dio. Un’allegoria è appunto interpretare un “pensiero di un poeta” cercare di scorgere dietro di esso. Ad esempio l’aquila imperiale che con le sue unghie graffia il corpo lacerato di una donna, può indicare allegoricamente la conquista di Roma dell’intera penisola italiana. Questa allegoria è detta, appunto, allegoria dei poeti. Ora anche la storia è composta da segni, in quanto ogni evento può essere così interpretato; ma esso non è inventato ma successo realmente. La storia più grande per un uomo medievale è senz’altro la Bibbia, la quale è piena di “segni” che preparano la venuta di Cristo. Ma essa, come si sa, in quanto ispirata da Dio, è sempre valida e quindi piena di segni per l’uomo contemporaneo; quindi il passaggio degli Ebrei nel Mar Rosso per raggiungere la Palestina significa, allegoricamente, il percorso che l’uomo deve seguire per raggiungere la salvezza: questa è l’allegoria dei teologi.

Prendiamo i due passi sopra citati: per Girolamo il sogno è un messaggio veritiero che Dio manda per esprimere la sua volontà, segno quindi del modo in cui egli si deve comportare; la vicenda d’Agostino che leggendo Cicerone scopre l’amore per la verità e quindi per Dio, sono ambedue allegorie dei teologi. Ma il dettato ciceroniano che indicava cose altre indica, appunto, l’allegoria dei poeti.

Il monachesimo benedettino

Quando nel 529 il monaco San Benedetto fondò a Montecassino la famosa abbazia, trasformò non solo la vita monastica, ma donò all’organizzazione ecclesiastica dei monasteri un vero e proprio vademecum che la caratterizzò per l’intera sua esistenza. Egli infatti trasformò il concetto di monachesimo (che al suo interno contiene il termine greco monos, solo) da un rapporto ascetico e solitario con la divinità ad una vera e propria comunità che, rispettando una regola, prospetta un vero e proprio modus vivendi da condividere in più persone.

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San Benedetto

DALLA “REGOLA DI SAN BENEDETTO”

Otiositas inimica est animae, et ideo certis temporibus occupari debent fratres in labore manuum, certis iterum horis in lectione divina.
Si autem necessitas loci aut paupertas exegerit ut ad fruges recolligendas per se occupentur, non contristentur, quia tunc vere monachi sunt si labore manuum suarum vivunt, sicut et patres nostri et apostoli.
Ante omnia sane deputentur unus aut duo seniores qui circumeant monasterium horis quibus vacant fratres lectioni, et videant ne forte inveniatur frater acediosus qui vacat otio aut fabulis et non est intentus lectioni, et non solum sibi inutilis est, sed etiam alios distollit: hic talis si – quod absit – repertus fuerit, corripiatur semel et secundo; si non emendaverit, correptioni regulari subiaceat taliter ut ceteri timeant.

L’ozio è nemico dell’anima, perciò i monaci devono dedicarsi al lavoro in determinate ore e in altre, pure prestabilite, allo studio della parola di Dio.
Ma se le esigenze locali o la povertà richiedono che essi si occupino personalmente della raccolta dei prodotti agricoli, non se ne lamentino, perché i monaci sono veramente tali, quando vivono del lavoro delle proprie mani come i nostri padri e gli Apostoli.
E per prima cosa bisognerà incaricare uno o due monaci anziani di fare il giro del monastero nelle ore in cui i fratelli sono occupati nello studio, per vedere se per caso ci sia qualche monaco indolente, che, invece di dedicarsi allo studio, perda tempo oziando e chiacchierando e quindi, oltre a essere improduttivo per sé, distragga anche gli altri.
Se si trovasse – non sia mai! – un fratello che si comporta in questo modo, sia rimproverato una prima e una seconda volta, ma se non si corregge, gli si infligga una punizione prevista dalla Regola, in modo da incutere anche negli altri un salutare timore.
Come dimostra il passo, infatti, è proprio nella preghiera e nel lavoro che l’uomo si realizza e quindi nel dono che egli fa delle sue capacità agli altri. E proprio grazie a questa organizzazione che nei monasteri e nelle abbazie si trova lo scriptorium luogo nei quali monaci esperti (amanuensi) e artisti (miniaturisti) copiavano testi sia sacri che profani. Non bisogna dimenticare che è proprio grazie a questo compito che è giunta / non giunta, incorrotta / corrotta, fino a noi parte della letteratura latina.

La società feudale 

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Il rito dell’iniziazione

Già durante l’ultimo periodo romano, con la perdita dell’autorità imperiale, ad avere maggiore importanza furono le villae guidate sempre più in modo autonomo dai signori. Le invasioni barbariche, se da una parte confermarono l’esistente, dall’altra lo rafforzarono perché proprio le villae, poste un po’ in disparte rispetto alle città, divennero luogo in cui poter trovare rifugio e protezione in cambio di sicurezza. In caso di guerra, proprio il signore, in ricompensa dei servigi resi, poteva concedere una porzione di territorio, che, in seguito, con termine germanico, veniva definito “feudo”. Colui che lo riceveva diventava “vassallo” del suo signore e s’impegnava a restituirlo alla sua morte. L’equilibrio tra il ricevere e il restituire chiaramente durava fino a quanto maggior potere possedeva il potere centrale; laddove esso mano mano scemava è evidente che sarà il potere periferico ad imporre il suo volere, fino a far diventare i terreni ricevuti ereditari (1037), sancendo in qualche modo l’assenza dello stato centrale. Il periodo in cui tale sistema s’impone è detto feudalesimo ed è caratterizzato da una serie di riti che estrema importanza ebbero sul piano culturale, quale il concetto di omaggio (sottomissione con il quale un signore feudale riconosceva la superiorità di un altro nobile), d’investitura (atto con cui veniva concesso il beneficio o feudo) e fellonia (tradimento degli obblighi esistenti fra il signore feudale e il suo vassallo).

 Il sacro romano impero

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Il Sacro Romano Impero

Al di là delle vicende propriamente storiche che caratterizzano la costituzione di un nuovo imperialismo occidentale, quello che conta è proprio l’aspetto culturale che tale imperialismo ebbe per l’intero medioevo. Fra i regni romano-barbarici il più potente si mostrò quello franco, grazie anche all’asse che egli riuscì a costituire con la chiesa di Roma. In tal modo egli, infatti, si proponeva come il braccio armato del papato, difensore quindi della fede e della verità. Quando nell’800 Carlo Magno riuscì a farsi nominare imperatore dal papa e a costituire l’unità politica col sostegno dell’unità religiosa, sembrò rinascere e prendere piede l’impero romano; ma nella mente dei due protagonisti più importante forse era il fine per cui era importante ripristinare una sorte di “renovatio imperii”, perché il suo compito era quello di diffondere la verità cristiana di contro alle eresie e agli infedeli. Così la corte del nuovo imperatore doveva diventare il centro di una cultura rinnovata, che rivaleggiasse con l’antica e la superasse grazie all’aiuto di Dio.

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Carlo Magno

L’unitarietà della storia e del sapere

Il progetto che Carlo Magno realizzava era quello di creare una continuità tra l’impero di Roma ed il suo; si trattava cioè di riproporre, rinnovata, la grande funzione civilizzatrice (ora anche religiosa) che l’Urbe aveva avuto. Tale riproposizione, tuttavia, non si presenta sotto il segno di un rinnovamento, ma di un vero e proprio compimento che lo stesso Dio aveva disegnato:

  • Fondazione di Roma
  • Cesare fondatore dell’impero (unità politica)
  • Diffusione della sua lingua e cultura
  • Tiberio successore di Cesare e la nascita di Cristo
  • Pietro primo pontefice (unità dei cattolici)
  • Roma capitale del cattolicesimo e sede del papato

Tutto questo era, per l’uomo medievale, il disegno di Dio, per meglio a provvidenza di Dio; ma se tale disegno avviene nella sua mente, esso si presenta come simultaneo; quindi non c’è distinzione cronologica, ma realizzazione dell’attimo: nessuna evoluzione, nessuna storia.

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E ciò che è nella mente di Dio bisogna trovi la sua realizzazione nel presente, che diventa speculum, specchio, della volontà divina. Essa quindi si struttura come una piramide che deve rimanere immutabile, nel cui vertice vi sono gli oratores e sotto dapprima i bellatores e quindi i laboratores: ogni classe sociale, essendo destinata da Dio a compiti immobili nel tempo non può essere mobile: da qui la diffidenza della chiesa verso il denaro, che, come bene immobile, può mettere in crisi tale struttura.

L’organizzazione del sapere medievale

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Esempio di “scriptorium”

Il presente è realizzazione del pensiero simultaneo di Dio: perciò esso è immutabile sia nella rappresentazione che nella realtà. Se ambedue sono proiezione di Dio non c’è classifica fra di esse, ma partecipano tutte al suo progetto. Bisogna perciò conoscerle tutte indistintamente (enciclopedismo).

Il sapere universale, distingue le artes (cioè le discipline, ma intese in modo diverso da oggi) in arti del trivio e del quadrivio:

  • Trivio: grammatica, retorica e dialettica;
  • Quadrivio: aritmetica, geometria, astronomia e musica.

A voler specificare potremo dire che le prime appartengono alla sfera del ben parlare e scrivere e quindi ben predicare la parole di Dio; le seconde vertono non proprio sulla conoscenza scientifica, ma sul valore simbolico del numero e delle forme geometriche (si pensi a Dante e al numero tre o alla figura del cerchio), sull’influenza degli astri sulla vita dell’uomo (astrologia e astronomia appartengono ad un unico sapere) e sull’armonia celeste dei suoni (ancora si rivolga l’attenzione all’importanza dei canti nelle funzioni liturgiche)

La dissoluzione vista nell’inizio e la regola di San Benedetto ci danno l’idea che gli unici a possedere la cultura in età medievale, per lo meno quello alta, siano stati gli ecclesiastici, tanto che la figura dell’intellettuale con quella del chierico vennero a coincidere. Erano appunto loro che, a livello alto, diedero vita a delle vere e proprie opere filosofiche la cui conoscenza sta alla base del pensiero medievale; ma furono altrettanto loro che, a livello basso, attraverso la predicazione e gli exempla tratti dalle sacre scritture, grazie alle favolose vite dei santi, porteranno la parola di Dio alla gente semplice.

Le basi filosofiche del Medioevo

Abbiamo volutamente sottolineato il modo in cui gli intellettuali cercano di rispondere alle sollecitazioni che il mondo classico offre loro; sarebbe tuttavia riduttivo non parlare dell’influenza araba che in 150 anni si espanse in Europa dall’Arabia alla quasi totalità della Spagna. Gli arabi ci consegnarono uno straordinario sapere astronomico-matematico (la scrittura dei numeri odierni è araba così come l’introduzione del numero zero, allo stesso modo la terminologia astronomica con parole come nadir e azimut) e recuperarono il sapere filosofico greco riportando tra il VII e il VI secolo i grandi pensatori, che non erano più letti in lingua originale, infatti le opere di Aristotele ricomparvero in Occidente grazie al commento di un grande intellettuale arabo, Averroè.

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San Tommaso d’Aquino

Grazie ad essi si poté formare il modello attraverso cui stabilire il sapere medievale, infatti san Tommaso, nel Basso medioevo, si contrappose alla visione mistica (di origine platonica, secondo cui alla base dell’amore per Dio vi è la fede) per individuare una visione matematica secondo cui alla base dell’amore per Dio si giunge a livello razionale. Egli infatti, attraverso la filosofia aristotelica, che riusciva ad analizzare il reale attraverso le categorie, riuscì a sistemare in una struttura ferrea e logica la “verità” teologica, arrivando alla definizione di “causa prima da cui deriva la molteplicità della creazione”

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