Il Decadentismo trova il suo nome dal titolo di una rivista artistico-letterario fondata da Anatole Baju per ospitare la nuova poesia simbolista e che così recita: “L’uomo moderno è un blasé. Raffinamento dei desideri, delle sensazioni, dei gusti, del lusso, dei piaceri, nevrosi, isteria, ipnotismo, morfinomania, ciarlataneria scientifica, schopenhauerismo a oltranza, questi sono i prodromi dell’evoluzione della società”.
Tale movimento rappresenta un fenomeno letterario complesso che trova la sua origine nella disillusione che la scienza possa spiegare la totalità della realtà ed i meccanismi che stanno alla base del vivere umano.
Non dobbiamo dimenticare, d’altra parte, che esso convive, sebbene in apparenza in modo secondario, con il Positivismo, ma sarà proprio quando tale ideologia entrerà in crisi, che la nuova ideologia troverà la forza per affermarsi. E la crisi arriverà sia per motivi, diremo così, strutturali, sia per motivi che, partendo dal primato della scienza stessa, la metteranno in crisi. Era infatti lo stesso sapere filosofico/scientifico che, specializzandosi sempre più, era arrivato a mettere in discussione le sue metodologie, scardinando le coordinate spazio-temporali che avevano sorretto ogni forma di conoscenza e d’indagine sulla realtà e mettendo in crisi i metodi con cui, fino ad allora, erano stati condotti gli studi sull’uomo.
I pensatori che attuarono, tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento, un cambiamento nel pensiero occidentale furono tra gli scienziati Albert Einstein, Max Planck e Sigmund Freud e tra i filosofi Friedrich Nietzsche e Henry Bergson.
Albert Einstein
Albert Einstein (1879-1955) elabora, ad inizio secolo, la teoria della relatività, mentre Max Planck (1858-1947) quella dei quanti; ambedue sconvolgono i tradizionali parametri di interpretazione del mondo: spazio e tempo non sono più verità assolute, valide in sé in quanto espressione della realtà oggettiva, ma categorie strumentali relative, dipendenti dai sistemi di riferimento prescelti. Nella nuova fisica di Einstein spazio e tempo costituiscono una struttura unica che è sempre in stretta relazione con le masse in essa presenti (ciò che siamo abituati a concepire come entità a sé stanti – come il tempo, lo spazio o la materia – in realtà sono soltanto aspetti o dimensioni dell’energia, la cui essenza, peraltro, non è stata ancora del tutto chiarita. Questo comporta, tra l’altro, che la misura di quelle particolari manifestazioni dell’energia che noi siamo soliti chiamare spazio, tempo o materia, non potrà mai avere un valore assoluto, ma differente a seconda della maggiore o minore quantità di energia da cui esse dipendono).
Max Planck
In sostanza sia Einstein che Planck dimostravano che anche le scienze cosiddette esatte (matematica, fisica e geometria) si fondano su presupposti convenzionali e relativi.
Sigmund Freud
Ripercussioni ancora più importanti sulla cultura del Novecento ha avuto la messa a punto, all’inizio del secolo, di un metodo di indagine interiore, detto psicoanalisi, per la cura delle malattie psichiche. L’inventore di questo metodo è stato Sigmund Freud (1856-1939), neurologo viennese di origini ebraiche, il quale, muovendo dallo studio clinico dell’isteria, elaborò una teoria complessiva delle nevrosi e dei disturbi della psiche in genere.
All’origine di tali disturbi egli individuò il mancato equilibrio tra tre livelli della vita psichica dell’individuo: Es, Io, Super-Io:
- L’Es corrisponde alle pulsioni e agli istinti più profondi, alle paure e ai traumi che risiedono nell’inconscio e che la coscienza ha accettato e ha censurato (rimosso).
- Il Super-Io è invece l’insieme delle regole e degli insegnamenti che, fin dall’infanzia, ci vengono impartiti; il Super-Io, in altre parole, corrisponde alle norme morali e svolge di solito una funzione repressiva nei confronti dell’Io.
- L’Io è la parte cosciente, che mira a raggiungere l’equilibrio con l’ambiente che lo circonda esercitando una funzione di mediazione tra l’Es e il Super-Io. Compito dell’analista è ristabilire tale equilibrio, quando l’individuo non è più in grado di farlo autonomamente, decodificando l’inconscio; via d’accesso all’inconscio sono per Freud i sogni, popolati di immagini che possono rivelare i processi più segreti della vita psichica, quelli che la ragione tenta di smascherare.
Gli scritti di Freud, avvertiti all’epoca come contrari alla morale comune e rivoluzionari per la loro portata teorica, influenzarono profondamente la cultura del Novecento in particolare per la separazione tra lato cosciente e incosciente della psiche umana, per l’importanza riconosciuta alle pulsioni dell’Io profondo (per es. quelle erotiche) e per il significato rivelatore dei sogni, dei lapsus e degli atti mancati.
Un’altra immagine di Sigmund Freud
La psicanalisi, mettendo in dubbio l’idea umanistica del primato della volontà e della ragione sugli istinti, ha avuto la forza di mandare in frantumi la visione unitaria e ottimistica dell’uomo (padrone di sé e del proprio destino) propria dei secoli precedenti (dall’Umanesimo al Romanticismo e al Positivismo). Il dato sconvolgente e innovativo è che l’agire umano appare condizionato non solo dalle logiche consapevoli e razionali, ma anche da uno strato profondo e oscuro dell’io – che Freud definisce inconscio – nel quale si sedimentano impulsi e tensioni normalmente repressi dalle convenzioni sociali e dalla morale.
Friedrich Nietzsche a Torino
Friedrich Nietzsche (1844-1900) elabora innanzitutto la teoria del nichilismo (elaborando in forma filosofica quanto già espresso da Turgenev e dal contemporaneo Dostoevskij), che nega l’universalità e l’assolutezza di qualsiasi valore e di qualsiasi verità; per Nietzsche – e sta qui la profonda differenza rispetto al modello interpretativo del mondo proposto dal Positivismo – il “fatto”, il dato “positivo”, certo e analizzabile con gli strumenti dell’indagine scientifica, non esisterebbe più; la verità oggettiva ed esclusiva (quello che Nietzsche chiama “Dio”) sarebbe “morta”, lasciando il posto a tante possibili verità o interpretazioni del fatto stesso, tutte relative e provvisorie.
Friedrich Nietzsche, Lou Salomé e Paul Ree
Alla luce di questa concezione, anche la morale rivela il proprio carattere falso e illusorio: per Nietzsche non esistono infatti né un sistema etico cui dover fare stabilmente riferimento, né modelli di comportamento universalmente validi; in secondo luogo, in Così parlo Zarathustra (1883-1885) egli elabora la teoria dell’Uebermensch, di una nuova umanità che sia in grado di superare (ueber= oltre) la vecchia oppressa da un sistema di valori e di verità superati, la cui universale validità è stata annientata; “l’oltre uomo” o “oltre umanità” (Mensch in tedesco assume anche questo significato) è per Nietzsche l’uomo nuovo, libero dai condizionamenti della morale comune, l’uomo che si impegna a realizzare totalmente se stesso, superando gli ostacoli, morali e ideologici, che possono reprimere i suoi desideri e le sue aspirazioni; infine, nella Nascita della tragedia, egli pone in risalto la contrapposizione tra lo spirito apollineo che simboleggia la razionalità, il dominio degli impulsi vitali e l’arido intellettualismo (controllo delle passioni, distacco dall’immediatezza della vita, dominio degli istinti, calma, serenità, compostezza), e lo spirito dionisiaco o volontà di potenza che è invece la tendenza opposta, ovvero la propensione all’ebbrezza vitalistica, all’istintività corporale e naturale, all’ebbrezza, e il desiderio di agire, sia in ambito pratico sia in quello artistico e creativo, anche contro le convenzioni sociali, con il solo obiettivo di realizzare le proprie aspirazioni (lo spirito dionisiaco incarna la parte istintuale, violenta e sfrenata dell’animo umano).
Henry Bergson
Secondo il filosofo francese Henry Bergson il concetto di tempo non può esaurirsi nella nozione meccanicistica e deterministica proposta dal Positivismo. Centrale nel suo pensiero è l’idea del tempo che sfugge alle “matematiche”, cioè alla misurazione oggettiva, matematica; egli si oppone cioè alla tradizionale concezione con la quale la scienza aveva rappresentato il tempo, concepito come successione di istanti omogenei, oggettivamente misurabili e quantificabili. Il filosofo elaborò la definizione di tempo come “durata pura”: si tratta del tempo connaturato alla vita della coscienza, per la quale la durata è fluire continuo, movimento e molteplicità. Nel tempo come durata tutti gli istanti coesistono e si sovrappongono in un fluire continuo, in un continuum che non li annienta ma li conserva (nella nostra memoria si sovrappongono continuamente immagini del passato lontano e recente insieme e al contempo del presente che stiamo vivendo e del futuro che stiamo progettando: il tempo è una dimensione interiore, una durata, un continuum in cui convivono le tre dimensioni di passato, presente e futuro). E’ una concezione soggettiva del tempo che ebbe grande influsso sulla narrativa del Novecento. L’altro aspetto della filosofia bergsoniana che influenzò notevolmente la letteratura e l’arte di questo periodo riguarda il processo conoscitivo che risolve attraverso l’intuizione (dunque attraverso l’irrazionale), la sola che consente una conoscenza profonda della realtà.
Le teorie di Einstein, di Bergson e di Freud, al di là del loro contributo scientifico e le speculazioni filosofiche di Nietzsche e di Bergson sconvolgono completamente il sapere classico che si era orientato nel distacco tra l’io ed il mondo, distacco necessario per conoscerlo; ora questo distacco non è più possibile, il mondo non è più conoscibile attraverso le categorie spazio/temporali, me “soggettivamente” in quanto questo stesso mondo è entrato dentro di noi e solo noi possiamo scavarne il vero senso attraverso processi intuitivi ed irrazionali. E’ evidente che tale situazione culturale mette in crisi la fiducia nel sapere scientifico che era stato alla base del Positivismo, ma è proprio nella sua massima affermazione che mostra le sue pieghe, in quanto, delegando l’arte ad interpretazione di un qualcosa d’altro da se stessa, aveva costretto alcuni intellettuali francesi a ridiscutere la funzione del fare arte e dell’essere poeta in una società in cui “tutto è già scritto nel rapporto causa-effetto” (saranno costoro i Simbolisti).
D’altra parte bisogna ricordare che la storia “politica” dell’Europa stessa aveva decretato la fine di questa spinta propulsiva che l’aveva portata a ridisegnare i propri confini e ad affermare il concetto di unità “patriottica” attraverso la formazione della Grecia, sin dal 1830 e poi quella italiana e germanica.
Questo cambiamento, riassumendo in modo estremamente sintetico, si può definire attraverso tre processi:
- progresso tecnologico e scientifico (fra cui anche quello medico): aumento demografico e “modernizzazione” delle città: gas elettrico, le prime macchine, telegrafo, fotografia. Ciò porta ad una forte urbanizzazione cui risponde una netta divisione, all’interno di essa, tra le classi sociali: l’esplosione della Comune di Parigi nel 1871 è la risposta di questa situazione; inoltre dall’ultimo ventennio del secolo fino allo scoppio della grande guerra nasce il fenomeno della belle epoque.
Immagine di gruppo con Guardie Nazionali e membri della Comune a Parigi (1871)
- Sempre alla fine dell’Ottocento si assiste ad una decelerazione economica dovuta alla libera circolazione che porta ad un eccesso di beni, aumentato anche dall’affacciarsi, in modo piuttosto “prepotente” dell’economia degli Stati Uniti. Ciò conduce gli Stati ad una sorta di protezionismo e al bisogno di cercare “materie prime” a prezzi concorrenziali. Inizia la colonizzazione dell’Africa e dell’Asia che trova in prima linea la Francia e l’Inghilterra (anche l’Italia cercherà di entrare nel gioco);
Schiavi scortati in Africa
- Quanto detto sinora porta di conseguenza ad una politica imperialista che si trasforma, diremo quasi automaticamente, in nazionalismo ed autoritarismo. A dare la stura a tale ideologia è certamente il cancelliere tedesco Otto von Bismark (1815-1898) che trasforma la Germania in una potente macchina statale e militare, accentuando la conflittualità con la Francia.
Otto von Bismarck
- Anche l’Italia cerca, in modo minore, d’imporsi a livello autoritario: Francesco Crispi (1818-1901) alimenta il mito della forte nazione. Perso il potere dopo la sconfitta di Adua, l’Italia viene attraversata da forti scontri sociali come dei Fasci siciliani (1894) o con il durissimo scontro avvenuto a tra scioperanti e l’esercito governativo a Milano nel 1898). Il Novecento si apre con l’assassinio da parte dell’anarchico Gaetano Bresci con l’assassinio di re Umberto I a Modena: Il governo passa a Giovanni Giolitti che con alterne fortune lo manterrà fino alla soglia della prima guerra mondiale.
Achille Beltrami: Assassinio Di Umberto I a Monza (1900)
(Disegno per “La Domenica del Corriere”)