Ritratto di Augusto
Convenzionalmente con l’età di Augusto si suole indicare quel periodo che va dal 44 a. C (anno dell’uccisione di Cesare) al 14 d. C. (anno della morte del princeps).
Pertanto potremmo dividere tale periodo in due momenti:
- Quello dello scontro tra Marco Antonio e Ottaviano (43 – 30 a. C.);
- Quello dell’edificazione del Principato (Impero) augusteo vero e proprio (29 a. C. – 14 d. C.).
Marco Antonio e Cleopatra
La prima potremo indicarla come il prosieguo di quel lungo periodo delle guerre civili che ha visto il suo inizio con la morte dei Gracchi (121 a.C.) e che termina grazie ad Ottaviano stesso; la seconda vede invece l’affermarsi di un lungo periodo di pace e quindi un periodo in cui risulta possibile strutturare su nuove basi lo “stato romano” e il modo in cui esso, attraverso l’arte, debba riflettere se stesso nel mondo.
Vicende politiche
Per riassumere velocissimamente l’ultimo periodo della Repubblica ricorderemo:
- lo scontro dapprima sull’eredità di Cesare, conteso tra Marco Antonio e Ottaviano: infatti se alla morte del grande condottiero romano alla plebs sembrava naturale che fosse il suo più fedele luogotenente a raccoglierne l’eredità, l’apertura del testamento lo sconfessò; infatti venne nominato il giovane figlio della sorella di Giulia, Ottaviano, di appena 19 anni, che se ne assunse l’intera responsabilità e prese il nome di Gaio Cesare a rimarcare sia di chi fosse figlio per adozione ed il suo diritto a prendere il posto.
- lo scontro tra il Senato, che voleva che Ottaviano si unisse con i cesaricidi (e quindi gli uccisori del padre) che, invece lo spinsero ad accordarsi con Antonio formando, anche con Lepido, il secondo triumvirato (43 a. C.); infatti in poche parole, se dapprima i due si scontrarono, alla fine, mossi da diversi interessi, ma che tuttavia li opponevano all’immobilismo del senato, superarono gli attriti e diedero vita ad una nuova magistratura, a cui associarono anche Lepido (triumviri rei publicae costituendae): ricostituire la repubblica oppure decretarne la fine?
- la relazione tra Antonio e Cleopatra e la guerra conclusa con la vittoria di Azio nel 31 a. C. che lasciò Ottaviano solo a gestire il potere; infatti, dopo un primo periodo di crisi, il triumvirato venne riconfermato: ad Antonio l’Oriente, l’Occidente a Ottaviano, la meno importante Africa a Lepido. Proprio alla morte di quest’ultimo assunse anche la carica di Pontifex Maximus. Lo scontro era inevitabile, scontro che, assumendo un valore quasi identitario, diede la vittoria all’Occidente influenzando l’operato e il progetto culturale di Augusto.
Palazzo Arese Borromeo: Augusto chiude le porte di Giano
Nel 29 a. C. Ottaviano torna a Roma e, dopo aver chiuso le porte di Giano e garantita la pace, inizia l’edificazione dello stato imperiale che tuttavia, sotto il suo governo, continuerà a mantenere l’aspetto formale della Repubblica in cui egli si fece garante; il nome che diedero gli storici al periodo fu principato.
Vediamo da vicino, proprio sull’aspetto politico, le trasformazioni che porteranno Ottaviano da condottiero ad Augusto e dalla Repubblica al Principato.
- dal 31 al 23 a. C. ricopre continuativamente la carica di console;
- nel 27 a. C. gli viene assegnato il titolo di princeps senatus (il primo tra i senatori) in quanto detentore di un auctoritas che lo poneva al di sopra di tutti i patres conscripti; infatti gli era stato attribuito il titolo di Augustus (colui che aumenta “augeo” il benessere dello Stato) perché dei filius (figlio di un dio, Cesare era stato divinizzato);
- nel 23 a. C. gli viene confermato l’imperium proconsulare (che gli garantiva il controllo di tutto l’esercito) e la postestas tribunicia (che gli permette sia il diritto di veto che l’inviolabilità);
- nel 12 a. C., alla morte di Lepido diviene pontifex maximus (capo della sfera religiosa).
- risulta pertanto evidente che nel giro di un ventennio egli sarà l’indiscusso capo del senato, del tribunato della plebe e dei riti religiosi. Ciò lo farà l’unicus dello stato a detenere il potere effettivo su ogni aspetto e che pertanto darà vita, con il suo successore, all’Impero vero e proprio.
Come organizzò Ottaviano-Augusto il nuovo stato?
Vediamo velocemente i punti salienti:
- trasformazione di Roma in vera e propria capitale dell’Impero, attraverso opere strutturali e monumentali che ne sanciscono la centralità: tra queste ricordiamo l’Ara pacis e il Forum Augusti;
- riorganizzazione dell’esercito che, tolto dalle mani degli ufficiali, ridiventava esercito di stato con arruolamento volontario. Al termine ai militari veniva assegnato un premio in denaro o un appezzamento di terreno. A tale scopo venne creato un aerarium militare, le cui casse erano fornite da una nuova tassa di successione;
- l’istituzione del praefectus praetorii a capo appunto dei praetoriani (guardia personale del princeps); praefectus urbi (con compiti di polizia per la città di Roma); praefectus annonae (per l’approvvigionamento dei viveri a Roma) e in ultimo praefectus Egypti (governatore dell’Egitto, proprietà privata di Augusto);
- la risistemazione delle province in provinciae populi (governate dal Senato attraverso la nomina – come un tempo – di governatori provenienti dalle sue fila, e la cui riscossione delle entrate terminava nell’aerarium, cassa dello stato e in provinciae Caesaris (poste ai confini o di nuova acquisizione controllate dallo stesso Augusto attraverso governatori, (legati detti procuratori);
- per quanto riguarda la politica estera il compito di Augusto fu quello, soprattutto, di rafforzare i confini, che determinò, invero, in un epoca di pace, qualche guerra: si ricordano qui la formazione dell’Augusta Praetoria (Aosta) e la riduzione in province della Rezia, (posta tra l’attuale Svizzera e l’Italia nord-orientale), del Norico e della Pannonia (l’Austria e l’Ungheria di oggi).
Augusta Praetoria (Aosta)
Morale e religione
Un compito non propriamente militare ma politico era dover giustificare il fatto di essersi guadagnato il titolo di princeps. Tale giustificazione doveva passare, per essere accettata, attraverso il concetto di una “restaurazione” degli antiqui mores. Era come se il loro venir meno avesse creato quel disordine, quell’amoralità, quella ingiustificata prepotenza che avevano caratterizzato gli ultimi anni della Repubblica. Non si tratta soltanto di ripensare e rivivere la storia della Roma antica, ma d’imporla attraverso divieti (l’adulterio, il lusso, l’indifferenza religiosa) ed il rafforzamento e la riproposizione (come la costruzione di nuovi templi, la riaffermazione degli antichi collegi sacerdotali e di antichi riti propiziatori).
La tradizionale lupa di Roma con Romolo e Remo
Certamente tale compito richiese uno sforzo notevole, soprattutto da un punto di vista urbanistico; ma non riuscì del tutto da un punto di vista etico; è impossibile “obbligare” la gente a “credere”, ma soprattutto è impossibile cancellare la storia.
Cultura
La volontà di fare di Roma la nuova capitale dell’Impero, il tentativo di presentare se stesso al mondo come il perno su cui ruotava il modo d’essere e il modo di fare, fece sì che Augusto s’impegnasse, in modo non banale, a sollecitare un impegno diretto e vivo degli intellettuali al suo progetto.
Busto di Agrippa conservato al Louvre
Piuttosto facile era magnificare la nuova era attraverso la monumentalità: Agrippa, il suo “architetto”, gli disegnò una nuova Roma e fece sì che tutte le città dell’Impero, nel loro piccolo, la imitassero. Allo stesso modo non difficile fu, per gli scultori e l’arte figurativa, ricoprire le città d’immagini e statue che celebrassero la raggiunta pace augustea. Ma anche lui non si risparmiò scrivendo un’opera apologetica su stesso in cui magnificava le sue imprese, il Res gestae divi Augusti.
Iscrizione delle Res Gestae nel Mausoleo di Augusto
Più problematico era operare dal punto di vista letterario. Ma se Agrippa gli fu di grande aiuto nel costruire la città e artigiani di gran classe a ricoprire le strade di Roma con sue statue e a dipingere affreschi privati e/o pubblici, Mecenate lo fu altrettanto nel creare intorno ad Augusto una rete di fini intellettuali che lo coadiuvarono (senza tuttavia piegarsi ad una mera e “falsa” adulazione) nel suo progetto.
Busto raffigurante Mecenate
Chi è stato realmente Mecenate? Un finissimo intellettuale, certamente autore di apprezzati componimenti di cui niente ci resta, che nella sua vita condivise le attese e le aspirazioni di molti giovani che, spinti o chiamati, giunsero a Roma grazie al loro talento. La sua estrema bravura fu quella di far incontrare questi intellettuali con le volontà di Augusto, facendo in modo che né i primi si sentissero utilizzati, né il secondo ignorato dalle loro produzioni.
Ciò fu possibile perché le esigenze del princeps e quelle di questi intellettuali conversero tutte verso una “rifondazione”. Se infatti Augusto voleva rifondare, attraverso la tradizione, la nuova capitale dell’Impero e fare di essa il centro intorno al quale l’intero mondo ruotava, gli intellettuali volevano “rifondare” la cultura, facendo di essi, distogliendo lo sguardo da Atene, il nuovo punto di riferimento. Non si sa quanto questo avvenne: certamente nella cultura romana (e, quindi, occidentale) sì.
Charles François Jalabert: Virgilio e Varo a casa di Mecenate
E’ che le riconquistata “pace”, dopo i lunghi anni di guerre civili, il tremare ancora e la trepidazione nell’attesa e nel compiersi di una nuova età, (Virgilio); il riguardare senza più odio, ma con “ironia” e saggezza il cives Romanus (si pensi ad Orazio), raccontare liricamente la propria biografia in estrema purezza stilistica (gli elegiaci) non era soltanto un fare letteratura ma un “viverla” nel senso più proprio. Per rendere ancora meglio il concetto è che non si percepisce, ancora oggi, distanza tra l’io narrante e il narrato degli autori citati. Ciò fa delle opere di questa età dei “classici”, intendendo con questo termine la capacità delle stesse di andare al di là del tempo (e dello spazio) in cui esse vennero alla luce.
Ora ancora da noi l’epica omerica o la lirica greca arcaica, come quella di Alceo o di Saffo, ci fanno, al di là della nostra capacità critica, indicarle come classici: ecco, gli autori augustei, soprattutto i due più importanti, non si limitarono, per così dire a rifare o a rendere, personalmente, o a diffondere la cultura greca (si pensi ai grandi dell’età cesariana, Lucrezio, Catullo, Cicerone), ma a diventare essi stessi novelli poeti epici o lirici da mettere al fianco con i grandi greci, cioè partire da loro per prima affiancarli e poi superarli. Si pensi a Virgilio: la sua Eneide parte dalla poesia omerica, ma non imita, la affianca e in qualche modo la supera in quanto se le prime erano la voce della Grecia arcaica, egli è il nuovo vate dell’età aurea della pace universale, perché l’impero è universale.
Giovan Battista Tiepolo: Mecenate presenta le arti ad Augusto
Certo, tale altissima produzione cancella la precedente: all’arrivo della poesia epica virgiliana, piano piano l’epica di Livio Andronico scompare, allo stesso modo la satira di Orazio soppianta quasi del tutto quella di Lucilio; per questo motivo delle opere precedenti, non ci è giunto quasi nulla.
Stefan Bakałowicz: Circolo di Mecenate (1890)
E allora c’è da chiedersi: perché l’opera di Lucrezio, Cicerone, Cesare, Catullo, Sallustio ci è invece pervenuta come essa stessa “classica”?
Vediamo di dare una risposta per ogni singolo autore:
Lucrezio è una tarda scoperta in clima umanistico-rinascimentale (e quindi laico); non ci fosse stata molto probabilmente del poema epicureo sapremo poco o nulla, ed inoltre rispecchiava quel sentire “antropocentrico” che il ‘400 ed il ‘500 esprimevano;
Catullo ci giunge perché alessandrino nella forma, come è ellenistico-alessandrino tutto il fare poetico dei lirici augustei, con altro intento. Così come sono personali e legati alla temperie storica i carmi catulliani, allo stesso modo sono così universali e “classiche” le odi di Orazio;
Cesare ci giunge in quanto padre del Divo Augusto e simbolo dell’unità cristiana dell’Impero e quindi della Chiesa;
Cicerone ci giunge perché è un oratore e l’oratoria al tempo di Augusto, naturalmente, scompare; quindi esso appare l’ultimo grande in cui il periodo storico gli garantisse la “libertà” della parola stessa, accompagnata da una maestria stilistica riconosciutagli in ogni tempo (d tanto da essere preso ad esempio da Boccaccio per la sua Introduzione al Decameron)
Sallustio è un caso strano: è uno storico che scrive quasi contemporaneamente a Virgilio e quindi facilmente inseribile nell’età augustea: ma se le sue opere, composte tra il 43 e il 40 a. C., sono tutte legate all’età cesariana è perché il loro sguardo è rivolto al passato, le Bucoliche virgiliane, di poco posteriori (38 a. C.), invece, sono completamente proiettate al futuro; ma la sua grandezza sta nella descrizione, oserei dire, tragica, dei suoi personaggi, che sarà un modello per il grandissimo Tacito.