Tra la morte di Silla, 79 a.C. e il trionfo di Augusto su Antonio 29 a.C., che mette fine alle guerre civili, passano 50 anni, ricchi di avvenimenti, capovolgimenti politici, guerre esterne ed interne che fanno di questo periodo un periodo fervido sia sul piano politico che su quello culturale. Questo periodo viene anche definito come “età di Cesare”, col nome di colui che è stato, nel bene e nel male, non solo uno dei più grandi uomini politici, ma anche uno dei più grandi letterati del tempo. Infatti si ha qui la presenza di un forte binomio tra la grandezza degli avvenimenti e degli uomini (si pensi allo stesso Cesare, ma anche a Pompeo, Catilina, Spartaco, Marco Antonio, Cleopatra e così via), ma anche di letterati che hanno dato a Roma uno dei momenti più alti della sua cultura (Lucrezio, Catullo, Cicerone, Sallustio). Bisognerà aspettare il periodo successivo, quello augusteo, per avere una così grandi messe di opere e di autori, ma, se è possibile dirlo, sarà costituito da un solo uomo.
Gerard van Kuijl – Quinto Sertorio (1630)
L’ascesa di Pompeo
Alla morte di Silla, il Senato, che le riforme dello stesso dictator avevano rafforzato, si dimostra assolutamente incapace di gestire i problemi che gli si presentavano di fronte. Tali problemi sono:
- Ribellione di Sertorio (seguace di Mario) in Spagna;
- Riapertura delle ostilità in Oriente;
- Guerra servile
Per risolvere i seguenti fatti il Senato si rivolge, nuovamente, a uomini forti: la guerra in Spagna viene affidata e vinta da un rappresentante aristocratico, Pompeo, quella contro il gladiatore Spartaco, impiegando ben otto legioni, fu affidata a Crasso, uomo che con spregiudicate speculazioni era fra i più ricchi di Roma. Forti dei successi essi chiesero il consolato, in deroga anche alla legge sillana che richiedeva come requisito l’aver percorso il cursus honorum. Per ottenerlo essi avevano bisogno dei popolari e promisero e mantennero, una volta eletti, leggi che ripristinavano i loro diritti come la presenza degli equites nei tribunali, il diritto di veto per le leggi considerate lesive per la plebe e via discorrendo. Ottenuto ciò Pompeo venne nominato per risolvere la situazione in Oriente. Dapprima gli furono attribuiti poteri straordinari contro i pirati che spadroneggiavano sulle coste meridionali dell’Asia minore e quindi debellò definitivamente la situazione sottomettendo in modo definitivo a Roma il mondo greco-ellenistico e organizzando la Palestina come stato autonomo sotto il suo protettorato. Come contropartita Pompeo chiese al Senato di ratificare le decisioni sulla sistemazione da lui attuate in Oriente e un lotto di terreno per i suoi soldati. Il Senato respinse per paura che egli assumesse su di sé troppo potere
Alain Decaux: La morte dei gladiatori
Crisi istituzionale e politica
Durante l’assenza di Pompeo, impegnato nelle guerre orientali, forte si fa il conflitto tra gli optimates ed i populares: a rappresentare i primi ci sono Marco Tullio Cicerone, (sebbene nell’occasione del processo contro il pretore Verre lo denunciò per corruzione e quindi accusò un senatore) che pensa che sia loro compito difendere le istituzioni messe in pericolo dal partito avverso e Marco Porcio Catone (nipote di Catone il Censore) aristocratico intransigente. A favore dei populares si schierano Crasso (che aveva collaborato con Pompeo), Cesare e Catilina. A caratterizzare quest’ultima impresa sono i soldi di Crasso (incapace politicamente, ma ricco), la discendenza di Cesare da una delle famiglie fondatrici l’Urbe e quindi l’alone che ne derivava (gens Iulia), la nobiltà diseredata e con voglia di riscatto di Catilina (aveva pagato in modo “forse” troppo severo le scelte di Silla). E fu proprio la sua congiura a caratterizzare questo periodo.
Della giovinezza di questo nobile poco si sa, cominciamo infatti dai due anni in cui, come governatore in Africa, si procurò l’accusa di concussione (de repetundis). Ciò gli impedì di presentare la sua candidatura al consolato nel 65. Ci riprovò l’anno successivo, ma, nonostante le promesse demagogiche che egli fece alla plebe, fu sconfitto per pochi voti da Cicerone. Non domo si ripresentò per la terza volta, ma la controffensiva aristocratica riuscì a bloccarlo nuovamente. Disperando di poter raggiungere il potere legalmente, provò con un’insurrezione armata. Il suo tentativo, venne smascherato in una celebre orazione di Cicerone chiamata appunto Catilinaria. Egli propose infatti la condanna a morte, senza fare appello al popolo, vista la tragicità degli avvenimenti.
Messo alle strette, Catilina fuggì. Chiamò intorno a sé un folto numero non solo di nobili diseredati, ma anche di uomini liberi poveri o schiavizzati in quanto oppressi dai debiti. Ma fu sconfitto, pur combattendo valorosamente, a Pistoia nel 62 a. C.
L’astro di Cesare
L’ascesa di Cesare avvenne dopo la sua esperienza di propretore in Spagna. Al rientro mirò al consolato (60 a.C.), ma per raggiungerlo aveva bisogno di soldi, che ottenne grazie a Crasso, e di un buon numero di voti che gli garantì, inaspettatamente, Pompeo. Quest’ultimo, infatti, dopo il diniego del Senato rispetto alle sue richieste, s’appoggiò per la loro approvazione proprio a Cesare. Si giunse così al primo consolato, un vero accordo privato di cittadini, che prevedeva:
- L’elezione di Cesare al consolato;
- L’approvazione, proprio grazie a Cesare, dei provvedimenti di Pompeo;
- Un contributo finanziario per dare le terre ai veterani di Pompeo.
Eletto Cesare, egli onerò gl’impegni presi e ne formulò altri a favore della plebe per un più stretto controllo sul fisco proveniente dalle provincie. Quindi fece approvare il suo comando proconsolare sull’intera Gallia, ma prima d’iniziare le operazioni sistemò la situazione a Roma. Allontanò dapprima Catone con il pretesto del possesso dell’isola di Cipro, quindi fece esiliare, con l’aiuto di Clodio, uomo violento e fazioso, il suo nemico più pericoloso, Cicerone (accusato di aver condannato a morte un cittadino senza il consenso del popolo). Solo allora Cesare partì per la Gallia che conquistò dal 58 al 52 a.C. Tali operazioni ebbero tuttavia una piccola pausa, infatti Cesare nel 56 fu costretto a tornare in Italia. La situazione nella penisola si era fatta preoccupante: i popolari, spalleggiati da Clodio, ingaggiavano dei veri e propri scontri armati con gli aristocratici che, per contrapporsi, avevano dato carta bianca ad un certo Milone. Nel contempo Pompeo, preoccupato dall’eccessivo potere cui i populares aspiravano, fece in modo, riuscendoci, di far rientrare a Roma Cicerone. Di fronte a tale situazione Cesare, nel 56, rientrò a Lucca e strinse un nuovo accordo che prevedeva l’elezione al consolato per il 55 di Pompeo e Crasso, che avrebbero in seguito ottenuto il proconsolato uno sulla Spagna, l’altro sull’Illiria, mentre lui, per altri cinque anni, avrebbe portato avanti il suo compito in Gallia. Nonostante l’accordo preso, Pompeo non volle lasciare la capitale dell’Impero, ben consapevole che la partita del potere si sarebbe lì svolta. L’occasione si presentò quando, venuta meno la figura di Crasso ucciso in Oriente (53 a.C.), Milone assassinò Clodio. Il clima di violenza era talmente incandescente che il senato nominò Pompeo consul sine collega con un proprio esercito a controllare la città. Quando Cesare, portato a termine il suo compito in Gallia, propose la sua candidatura per l’anno successivo, il Senato gli pose come condizione quella di smobilitare l’esercito. Fatto lecito per lui, se anche Pompeo lo avesse contestualmente fatto. Il rifiuto di quest’ultimo diede inizio alla seconda guerra civile.
Seconda guerra civile
Allora Cesare ruppe gli indugi e nel 49 a.C. varcò il limes dello Stato con il proprio esercito, varcando il Rubicone e pronunciando la famosa frase alea iacta est (il dado è tratto). Il percorso di Cesare dal fiume a Roma avvenne senza ostacoli, anzi, col sostegno di molti simpatizzanti tanto da cogliere Pompeo impreparato e costringerlo alla fuga in Macedonia. Come un fulmine Cesare non diede il tempo al suo avversario di preparare la controffensiva: recatosi in Spagna per sconfiggere le molti legioni pompeiane, andò poi a Farsalo dove riuscì a sconfiggerlo definitivamente. Pompeo cercò rifugio in Egitto, ma fu lo stesso re Tolomeo XIII ad ucciderlo e a offrire la testa a Cesare. Quest’ultimo, ritenendo il gesto del sovrano egiziano vile, lo eliminò a favore della sorella Cleopatra, cui s’invaghì.
Anna Pennati: Cesare e Cleopatra
L’impero di Cesare
Dopo la sconfitta di Pompeo, Cesare venne nominato “padre della patria” dal Senato, inoltre si fece nominare dictator a vita e ricevette l’inviolabilità tribunizia. Sebbene egli lasciasse in vita tutte le istituzioni repubblicane, tutti i poteri militari, religiosi, civili erano nelle sue mani, ma egli li esercitò con un forte senso di responsabilità. Pur offrendo per un intero anno pace e tranquillità, pur favorendo attraverso leggi una maggior giustizia sociale, pur promuovendo le attività che permettevano un diffuso benessere, l’aristocrazia senatoria, sconfitta da lui ma da lui blandita, temeva che con lui la repubblica sarebbe stata sconfitta a favore di un regime assolutistico. In questo clima un gruppo di congiurati, tra cui il suo figlio adottivo Giunio Marco Bruto, il 15 marzo del 44 lo uccisero con ventitré colpi di pugnale.
Marco Antonio e Cleopatra
L’eredità di Antonio
Se i congiurati avevano sperato in una sollevazione popolare in loro favore per la riconquistata libertà, rimasero fortemente delusi. Il favore dei cittadini romani verso Cesare venne rafforzato con la sua morte ed anche l’esercito non conobbe alcuna defezione. Di fronte a tale situazione il Senato rimase inerme, incapace di affrontare la situazione. A prendere l’inizia fu, appunto, un luogotenente di Cesare, Antonio, che cercò di accreditarsi come suo successore. Le sue richieste furono due: lasciar liberi i congiurati, per ottenere l’appoggio dei Senatori e la conferma dello stato voluto da Cesare, per non scontentare i populares. Ogni altra decisione sarebbe stata presa dopo l’apertura del testamento di Cesare. Quando il popolo seppe che lui aveva lasciato ad ogni proletario e legionario trecento sesterzi, la folla assaltò le case dei congiurati che furono costretti a fuggire.
Ottaviano
Ma il colpo che sia Antonio che il Senato dovettero subire fu la nomina del pronipote Ottaviano come erede testamentario diretto di Cesare. Quando gli giunse la notizia egli si trovava in Epiro e decise, senza porre alcun freno, di raggiungere Roma. Al diniego di Antonio di consegnarli il denaro con cui far fronte al regalo che Cesare aveva promesso sia ai cittadini che ai soldati, vendette le sue proprietà e lo ottemperò. La sua stella tra il popolo divenne immensa. Ma, contemporaneamente, cercò di guadagnarsi la simpatia di Cicerone, che degli aristocratici romani restava il più illustre campione. Molto intelligentemente aveva fatto sì, con questa mossa, di sostituire Antonio negli occhi della plebe, rendendolo inoltre isolato perché inviso agli aristocratici. Antonio, nel frattempo, aveva ottenuto l’incarico di governare una provincia lontana, ma, per non star lontano dalle operazioni, fece approvare una legge de permutatione provinciarum e con un plebiscito fece votare per il suo governatorato sulla Gallia contro Delio Bruto che lo aveva ottenuto con regolarità. Contro i modi attraverso cui Antonio aveva imposto le sue leggi, intervenne Cicerone che lo accusò di essere un nemico della patria nelle celeberrime Filippiche per la veemenza con cui vennero pronunciate. Al rifiuto di Decio Bruto, Antonio si mosse contro di lui con l’esercito, ma in aiuto al regolare governatore si unirono le truppe consolari e quelle raccolte da Ottaviano. Antonio, raggiunto a Modena, venne sconfitto e si rifugiò nella Gallia Narborense dove si unì a Lepido, suo fedele amico. Ambedue vennero dichiarati nemici della patria. La paura per una politica individualista che il Senato sperava di aver annientato in Antonio, si riaffacciò con la persona di Ottaviano: infatti, quando il giovane si presentò per combattere contro Antonio insieme all’esercito consolare, gli venne ordinato di smobilitare l’esercito. Ma egli, capendo che gli aristocratici desideravano usarlo ai loro fini, si volse contro di loro, alleandosi con il suo vecchio nemico e si fece eleggere dai comizi da lui convocati nel 43 a.C., tanto da riuscire a diventare console a soli vent’anni. Quindi, riunitosi a Bologna con Antonio e Lepido diede vita al secondo triumvirato. Quest’ultimo aveva la caratteristica di essere un atto ufficiale della durata di cinque anni con cui i contraenti si distribuivano, con poteri illimitati, territori ed eserciti ed con il compito di riscrivere la costituzione. Il primo atto politico che i triumviri presero fu quello di eliminare i loro nemici: Antonio chiese la testa di Cicerone che l’aveva così infamato nelle Filippiche e l’ottenne. Quindi rivolsero insieme le armi contro i cesaricidi, che protetti dagli aristocratici erano riusciti, fino ad ora, a farla franca. Sconfitti, per non seguire il carro dei vincitori preferirono uccidersi. Bisognava ora ripagare le truppe che avevano aiutato loro nell’impresa: Antonio doveva requisire terre in Oriente, mentre ad Ottaviano toccava la penisola italiana per ripagare i soldati. Ed è in tale frangente che venne la prima rottura. Ad opporsi alla confisca dei terreni in Italia si schierarono la moglie Fulvia ed il fratello Lucio di Marco Antonio. A spingere la situazione fino alla definitiva rottura pare sia stata Fulvia che, gelosa per il fascino che intanto Cleopatra suscitava nel marito, voleva ad ogni costo la guerra. Sconfitti entrambi da Ottaviano, il triumviro non si accanì contro di loro, mandando il fratello di Antonio in Spagna e la moglie dello stesso in Grecia, dove morì poco dopo. A pagare le conseguenze fu invece la città dove si svolse lo scontro, Perugia, che per aver dato ospitalità ai nemici di Ottaviano venne rasa al suolo.
Antonio, Lepido e Ottaviano: II trimvirato
Scontro tra Ottaviano ed Antonio
Vista la situazione creatasi si decise che sarebbe stato meglio rafforzare l’accordo con un nuovo patto stipulato a Brindisi, in cui entrò anche Sesto Pompeo, figlio di Pompeo Magno che aveva cercato d’ostacolare i nuovi protagonisti della storia romana con atti pirateschi nel Mediterraneo. A patto di permettere una navigazione tranquilla alle navi mercantili fu affidato a lui il governo delle isole maggiori mediterranee (Sicilia, Sardegna, Corsica). Quindi a Lepido il governo forse meno importante, quello d’Africa, mentre lui e Antonio si spartivano l’Occidente e l’Oriente. A sancire il patto Antonio avrebbe sposato Ottavia, sorella d’Ottaviano, mentre quest’ultimo avrebbe preso in moglie Scribonia, nipote di Gneo Pompeo.
Antonio in Egitto, recatosi lì per la riscossione dei tributi delle popolazioni orientali, subì il fascino della regina Cleopatra e ne assecondò la politica muovendosi in modo autonomo da Roma. Ottaviano, in Occidente rinfocolava l’astio nei suoi confronti, alimentando la diceria che egli cercava di costruirsi un regno autonomo nell’impero orientale a scapito della madrepatria e della sua legittima moglie. Inoltre il giovane generale aveva rafforzato la sua autorità sconfiggendo Gneo Pompeo, che non aveva affatto rispettato i patti ed inoltre, di fronte ad un tentativo di Lepido di ribellarsi, lo aveva sconfitto e senza umiliarlo lo nominò pontefice massimo fino alla morte. Ottaviano era de facto proprietario dell’Occidente.
Guerra e fine d’Antonio
La battaglia di Azio
Il disegno di Antonio di staccarsi da Roma e costituire una monarchia ellenistica di tipo orientale cominciò a cessare quando, venuto in possesso di un suo testamento, Ottaviano lesse in Senato le sue decisioni: come se le terre orientali fossero proprie egli le lasciava in eredità ai figli avuti con la regina d’Egitto. Tutto il Senato si indignò e, col consenso del popolo, dichiarò la guerra. Fu incaricato lo stesso Ottaviano di esserne il generale, il quale, in modo estremamente intelligente, per non dar vita ad una nuova guerra fratricida, la dichiarò direttamente alla regina d’Egitto. A comandare la flotta Ottaviano scelse Agrippa, già vincitore contro Sesto Pompeo. Ottaviano fece schierare le navi di fronte al promontorio di Azio, nel mar Ionio. Quanto Antonio cercò inutilmente di forzarle per raggiungere l’Italia, Cleopatra fuggì inseguita da Antonio. Ottaviano intanto mise sotto assedio Alessandria d’Egitto. Nella confusione che regnava in città, girò la voce che Cleopatra fosse morta ed Antonio, resosi conto che senza di lei il suo progetto non aveva alcuna possibilità di riuscita, si uccise. Cleopatra, che morta non era, ma resosi conto d’esser sola, per non dover seguire il carro del vincitore come sconfitta nella marcia trionfale, s’uccise con un aspide. Ottaviano era rimasto solo, il padrone di Roma era lui, la repubblica era finita.
Cultura
E’ questo un periodo denso di avvenimenti, tutti estremamente importanti per Roma e la sua storia, sia politica che culturale. Non è un caso infatti che alla ricchezza di episodi corrisponda un’altrettanta ricchezza di opere che costituiscono ancora oggi, insieme a quelle augustee, dei veri e propri punti di riferimento.
Roma, infatti, da una parte perfezionerà, da un’altra inaugurerà vari generi letterari:
- dal periodo sillano troverà la massima espressione la poesia lirica, che Catullo porterà alla massima espressione partendo da coloro che la iniziarono in quell’età e che vengono, per questo, definiti preneoterici;
- sempre da quel periodo si svilupperà l’oratoria, ma non più solo come tecnica pratica per imparare a diventare un peritus loquendi, come ancora era nella Rhetorica ad Herennium a torto a lui attribuita, ma come vera e propria pratica con la quale affermarsi nel mondo del potere; l’utilizzo di questo genere da parte di Cicerone farà sì che egli diventerà il punto da cui partire e con cui confrontarsi per chi verrà dopo di lui;
- La nascita della monografia storica con Cesare e Sallustio, anch’essi, diventati nel tempo punti di riferimento per la loro qualità stilistica;
- La capacità di Cicerone di trasportare e, quindi, di far entrare nella storia della cultura latina la filosofia;
- La grande ed unica esperienza, di per sé monumentale, di fare di un tema filosofico, un grande e straordinario poema da pare di un personaggio ancora fortemente avvolto nel mistero come Lucrezio.
Sono questi i grandi meriti culturali di questa età che ci consegneranno, da parte dei suoi intellettuali, la visione completa del modo non solo in cui si governava, ma anche si viveva e pensava.